Artt.
585, 697, 699, 704 c.p. Art.
42 TULPS e artt. 45 e 80 Reg. TULPS Art.
4 L. 18 aprile 1975 n. 110 Art.
13 L. 11 febbraio 1992 n. 157 (Caccia) Il coltello è un utensile creato dall’uomo per tagliare materiali non
troppo duri mediante una lama fissata ad un manico. Si distingue in ciò da
quelle armi bianche studiate per penetrare nel corpo umano, come il pugnale. La
distinzione, dal punto di vista tecnico, può in alcuni casi essere molto
sfumata, tanto da aversi strumenti con caratteristiche miste (coltelli-pugnale),
ma la destinazione primaria è in genere sufficientemente chiara e, sulla base
delle origini storiche dello strumento, del suo impiego in certi ambienti
culturali o etnici, delle sue caratteristiche tecniche, non è difficile dire se
ci si trova di fronte ad uno strumento, solo occasionalmente atto ad offendere,
oppure ad un’arma propria con funzione primaria di ledere la persona. Siccome il punto di contatto fra le due categorie è dato proprio dal
coltello e dal pugnale, è necessario precisarne le rispettive caratteristiche e
la terminologia di base. Un coltello è composto da due parti fondamentali: il manico od
impugnatura e la lama. La lama è generalmente una striscia di acciaio piatta, con facce
parallele o formanti un cuneo, che su di un lato viene affilata in modo da
creare il cosiddetto tagliente che può essere liscio oppure a sega, ondulato,
seghettato, ecc. In coltelli sottili, in cui le due facce formano un angolo
molto acuto, il tagliente può mancare. L’estremità del tagliente è detta
filo, che può mancare in alcuni coltelli (ad es. da ostriche). Mediante
l’affilatura si crea il giusto angolo del tagliente, mediante l’arrotatura
si crea e mantiene il filo. Il lato opposto al tagliente si chiama dorso o costa
della lama e può essere piatto, arrotondato, seghettato, misto. La seghettatura
non è prevista per rendere lo strumento più lesivo ma per utilizzarlo come
seghetto o per il taglio di lamiere o di corde. La lama può terminare in una punta, rettilinea o ricurva verso l’alto
od il basso, od essere più o meno arrotondata oppure tronca. Anche la punta
arrotondata o tronca può essere, o meno, affilata. La punta che è affilata per
un breve tratto anche sulla costa in prossimità della punta stessa, dicesi
falso filo. Il filo inizia dalla punta e termina al tallone, che è la parte più
robusta della lama su cui si appoggiano i fornimenti (elso, manico, ecc.) Dopo il tallone inizia il codolo e cioè il prolungamento della lama su
cui viene montato il manico. I pugnali si differenziano dai coltelli per avere due taglienti e due
fili e una punta a lancia, vale a dire simmetrica su entrambi i lati. Talvolta
la lunghezza di uno dei taglienti occupa solo metà della lama che presenta
quindi, su di un lato, sia una costa che un tagliente. A seconda del tipo di manico e di lama i coltelli assumono varie
denominazioni. Distinzione fondamentale è quella tra coltelli a lama fissa e coltelli
con lama pieghevole o a serramanico o da tasca. Coltelli a lama fissa sono quelli in cui la lama è rigidamente
fissata in modo permanente all’impugnatura. Rientrano in questa categoria i
coltelli da cucina, i coltelli da tavola, i coltelli da sopravvivenza (survival,
anche noti come “tipo Rambo” ), i coltelli da caccia e da pesca, ecc. Di
regola i coltelli a lama fissa vengono portati in un fodero per evitare che si
rovini il filo ed il pericolo di tagli accidentali. In questa categoria possono trovarsi degli strumenti di lavoro con le
forme più strane come, ad esempio, i coltelli per scuoiare e per conciatori di
pelli (skinner) con lama semicircolare e impugnatura posta ad angolo retto ad
essa, così che la lama esce tra due dita della mano che lo impugna. Alcuni sono
poi stati modificati in modo da avere una lama appuntita per servire solo quali
strumenti di offesa (coltelli a spinta). Coltelli a lama pieghevole sono quelli in cui la lama è mobile
ed incernierata nell’impugnatura entro cui può essere serrata (da ciò il
nome “a serramanico”). La maggior parte di essi sono muniti di un bloccaggio
di sicurezza (dente o lamina di arresto, ghiera girevole), che blocca la lama
una volta aperta per evitare che essa si pieghi durante l’uso e tranci le dita
dell’utilizzatore. Coltelli da tasca di modeste dimensioni vengono chiamati
temperini. Molti coltelli da tasca sono muniti di lame di diversa lunghezza o di
vari accessori (lima, seghetto, cacciavite, punteruolo, ecc.). In questa categoria dei coltelli pieghevoli si debbono distinguere: - coltelli allungabili; - coltelli balisong, - coltelli con apertura a scatto; - coltelli a lama scorrevole o a gravità; Coltelli allungabili sono dei coltelli pieghevoli alquanto rari
in cui la lama è più lunga del manico così che quando il coltello è chiuso,
ne sporge egualmente un tratto; essi possono quindi essere usati, in qualche
modo, anche se ripiegati. Coltelli balisong o a farfalla sono coltelli tipici delle
Filippine in cui il manico è diviso per il lungo in due metà entro cui si
trova la lama come in un astuccio, incernierata al tallone con esse. Aprendo le
due metà e facendole ruotare di 180 gradi, la lama rimane libera e si forma il
manico da impugnare. Trattasi quindi di un normale coltello la cui destinazione
o meno ad offendere andrà stabilita in base alle caratteristiche della lama. Coltelli ad apertura a scatto sono coltelli in cui la lama,
incernierata sul manico, viene aperta automaticamente, con la pressione di un
bottone di scatto, ad opera di una molla. Di regola un meccanismo blocca poi la
lama in posizione di apertura. E’ opportuno ricordare che per un equivoco linguistico, avendo molti
inteso che coltello a serramanico fosse quello in cui la “lama si fissa (si
serra) nel manico” alcuni dizionari e la Cassazione in molte sentenze, hanno
chiamato i coltelli a scatto “coltelli a serramanico”, creando non poca
confusione (mass.
5). Coltelli a lama scorrevole sono coltelli in cui la lama non è
incernierata o fissata sul manico, ma scorre all’interno di esso e ne esce per
forza di gravità e perché proiettata in avanti da una molla, fino ad essere
bloccata in posizione di apertura. Sono poco frequenti e più usati come arma
che come strumenti, in quanto la lama manca della necessaria stabilità per
lavori manuali. Per quanto concerne la qualificazione giuridica dei coltelli, non vi è
dubbio che per essi vale la regola generale per cui ogni strumento, anche
pericoloso, che ha una funzione primaria diversa dall’offesa alla persona,
deve essere qualificato come strumento atto ad offendere. Questo è sempre stato
l’orientamento della giurisprudenza la quale ha fatto un’unica eccezione
solo per i coltelli a scatto e, di recente, prendendo un abbaglio, anche per i
coltelli pieghevoli con blocco della lama. In effetti, a voler essere del tutto
coerenti, l’indagine sulla natura o meno di arma dello strumento andrebbe
fatto caso per caso, ma ciò non è concretamente fattibile stante
l’opinabilità di molti concetti. Si consideri ad esempio quale scarso
significato pratico abbia la distinzione tra un pugnale e un coltello da
macellaio, entrambi affilatissimi, entrambi appuntiti, entrambi studiati per
essere ben maneggevoli, entrambi più che adatti per uccidere, visto che per un
corpo umano fa ben poca differenza che una lama abbia un filo oppure due fili! L’analisi della materia, sulla base della pratica quotidiana e dei
principi generali della legge, riscontrabili, sia pure con molti sbandamenti, in
giurisprudenza, consente di enucleare il seguente principio generale: i coltelli
sono da considerare sempre strumenti atti ad offendere salvo che in concreto le
loro caratteristiche specifiche, e in particolare, quelle della lama, dimostrino
che essi non sono idonei ad alcun uso ragionevole diverso da quello
dell’offesa alla persona. Si presume quindi che un coltello sia uno strumento,
salvo che particolari caratteristiche lo facciano identificare come arma
propria. Alla stregua di questo principio si possono trarre le seguenti
conclusioni in relazione ai dubbi più frequenti che si riscontrano nella
pratica: - Coltelli a scatto, a scrocco, a molletta (mass.
5-9). La Cassazione è stata influenzata da due pregiudizi: in primo luogo da
quello risalente alla vecchia giurisprudenza relativa al codice penale del 1889
che vietava le armi insidiose e che ha continuato ad applicare come se la legge
non fosse mai stata cambiata; in secondo luogo dall’erronea convinzione che i
pugnali fossero necessariamente a lama fissa e che quindi ogni coltello a lama
fissa o fissata dovesse essere assimilabile ad un pugnale. In effetti non è affatto vero il principio affermato apoditticamente
dalla Cassazione che i coltelli a scatto siano sempre e necessariamente armi
proprie. La Cassazione ha basato il suo giudizio su quelli più diffusi, a forma
di stiletto, che hanno la lama con punta a lancia e con doppio filo i quali
quindi, sono qualificabili armi, non perché sono a scatto, come ha ritenuto la
Cassazione, ma per il ben più semplice motivo che sono dei pugnali pieghevoli
veri e propri. Un coltello a scatto con lama a punta arrotondata non potrebbe
essere mai considerato un’arma per il fatto che la sua funzione non potrebbe
essere altra che quella di un normale strumento da taglio e l’apertura a
scatto non potrebbe essere considerata altro che una utilissima facilitazione
per chi deve usarlo con una sola mano. Si pensi ad esempio al potatore che deve
aprire il coltello stando appollaiato su di un albero o al marinaio che deve
tagliare una cima in precarie condizioni di equilibrio. Ciò è tanto vero che
attualmente sono numerosi i coltelli costruiti in maniera da poter essere aperti
con una mano sola. Del resto non pare proprio verosimile che la Cassazione
dichiarerebbe arma propria una taglierina da tappezziere congegnata in modo da
far uscire o rientrare la lama con un congegno automatico! In troppe massime la Cassazione dimentica che ai fini della distinzione
non hanno alcun rilievo l’insidiosità dello strumento o la sua pericolosità,
ma esclusivamente la sua destinazione primaria: un bisturi è certamente
studiato per penetrare nel corpo umano, è affilatissimo e pericoloso, ma è
destinato ad un uso lecito. Del resto proprio non si comprende perché dovrebbe
essere più pericoloso un coltello che si apre con una sola mano, rispetto ad un
coltello a lama fissa portato alla cintura o sotto l’ascella in un fodero:
entrambi, allo stesso identico modo, possono apparire inaspettatamente nella
mano dell’avversario. Si segnala che con circolare 559C.7572.10179(17)1 il Ministero
dell'Interno ha avvertito che i coltelli a scatto sono da considerare armi
proprie, con tutte le conseguenze in ordine al loro regime giuridico. - Coltelli pieghevoli con blocco della lama Le recenti sentenze della Cassazione che li hanno dichiarati armi
proprie sono il frutto di un vero e proprio abbaglio tecnico. Il blocco della
lama non è stato inventato per poter utilizzare il coltello come arma, ma per
essenziali ragioni di sicurezza perché, come sa chiunque sia solito usare un
coltello per lavori manuali, è estremamente facile che la lama del coltello non
bloccabile, si ripieghi improvvisamente, a causa di una manovra sbagliata o di
un urto, tagliando le dita del malcapitato che lo sta usando. Si prenda ad
esempio il famoso coltello Opinel, tipico coltello del contadino francese, che
da sempre è munito di una ghiera girevole che consente di bloccare la lama, di
certo non per usi illeciti. La circostanza che in questi ultimi anni siano
sempre di più i coltelli muniti di blocco della lama, è dovuta al fatto che le
lame di oggi sono dotate sempre di un filo da far invidia ai rasoi, così che
una chiusura accidentale può essere estremamente pericolosa, ed al fatto che
sempre di più i coltelli finiscono nelle mani di persone inesperte che non sono
abituate a maneggiarli tutti i giorni, come i contadini di una volta. Del resto,
anche in questo caso, non pare proprio verosimile che la Cassazione
dichiarerebbe arma propria una taglierina da tappezziere congegnata in modo da
bloccare la lama in apertura! Inoltre proprio non si comprende perché vi
dovrebbe essere diversità di trattamento tra chi porta un coltello a lama fissa
e chi porta lo stesso coltello che si apre e diventa a lama fissa al momento del
bisogno, visto che ciò che conta non è l’insidiosità o la pericolosità, ma
esclusivamente la naturale destinazione d’uso. - Coltelli da sopravvivenza, da caccia e da pesca Per i coltelli tipo “Rambo” si tratta in genere di coltelli a lama
fissa da caccia, di grosse dimensioni, con punta ricurva e falso filo e, sovente
con costa seghettata. Essi, a parte l’aspetto un po’ impressionante (creato
ad arte a fini pubblicitari) sono solo dei normali coltelli da caccia e quindi
non sono assimilabili ad armi. Ovviamente non debbono avere un doppio filo, in
quanto in tal caso sarebbero dei pugnali veri e propri. La differenza essenziale
sta in questo: se la lama è affilata solo in punta in modo da creare il falso
filo si è di fronte ad un coltello; se la affilatura investe non solo la punta
ma anche parte della costa, si è di fronte ad un pugnale con doppio filo;
questo perché il falso filo è utile per certe operazioni venatorie
(sventramento e scuoiatura di animali), mentre che il doppio filo è utile solo
per infliggere colpi penetranti. E’ vero che per un cacciatore che dovesse
difendersi dall’assalto di una fiera o per il pescatore che dovesse difendersi
da un pescecane, un pugnale sarebbe preferibile ad un coltello da caccia, ma non
pare che il legislatore abbia tenuto conto di queste sfumature. È doveroso osservare che la distinzione tra coltello è pugnale è
un’invenzione esclusivamente italiana e che nessun altro paese europeo mi
risulta aver sentito la necessità di una tale sottile distinzione, così come
non ha sentito la necessità di distinguere tra coltelli a lama pieghevole e
coltelli a lama fissa.. - Coltelli balisong La loro qualificazione, come per i coltelli a scatto, dipende dal tipo
di lama; se è una normale lama ad un solo filo non vi è alcuna ragione per non
considerarli degli strumenti; se hanno lama di pugnale, dovranno essere
considerati come tali. - Coltelli da lancio (mass.
4) In genere hanno lama a forma di foglia, con doppio taglio, non hanno
altra funzione che quella di offendere la persona e quindi vanno classificati
tra le armi proprie. Si deve fare però una doverosa distinzione per i coltelli
da lancio per artista di varietà, costruiti con particolare cura e la cui
destinazione è quella di essere lanciati, ma di non colpire affatto chi si
presta a fare da spalla al lanciatore: essi sono chiaramente strumenti di
lavoro; analogamente vanno considerati solo strumenti sportivi i coltelli da
lancio con tagliente arrotondato, destinati ad essere lanciati contro un
bersaglio di legno in gare di abilità. Coltelli a spinta “pushers” sono formati da una lama, di solito corta e a forma di foglia, munita di
un manico perpendicolare ad essa e con tallone sottile, così che, una volta
impugnato, la lama sporge dal pugno, tra il dito medio e il dito indice. Sono
usabili esclusivamente per offendere la persona. Coltelli di libero porto Ciò posto si pone il problema ulteriore se tutti i coltelli siano da
considerare strumenti ad offendere oppure se ve ne siano alcun tipi che, per la
struttura o per le modeste dimensioni, debbano essere considerati inidonei ad
offendere (mass.
11-14). Il legislatore del 1940, nell’art. 80 del Reg. al TULPS, aveva
saggiamente escluso dal novero degli strumenti atti ad offendere,
liberalizzandoli ad ogni effetto: a)
i coltelli acuminati o con apice tagliente, la cui lama, pur eccedendo i quattro
centimetri di lunghezza, non superi i centimetri sei, purché il manico non
ecceda in lunghezza centimetri otto e, in spessore, millimetri nove per una sola
lama e millimetri tre in più per ogni lama affiancata; (mass.
1, 2). b)
i coltelli e le forbici non acuminati o con apice non tagliente, la cui lama,
pur eccedendo i quattro centimetri, non superi i dieci centimetri di lunghezza. In
altre parole non era considerato idoneo ad offendere la persona -
qualsiasi coltello con lama, fissa o pieghevole di lunghezza inferiore a 4
centimetri (bisturi, temperino) (mass.
3); -
un coltello, a lama acuminata o con apice tagliente, sia fissa che pieghevole,
con lama non superiore a sei centimetri,
purché il manico non superi certe dimensioni (usuali coltelli da tasca); - un coltello con lama non acuminata o apice non tagliente non superiore
a 10 centimetri di lunghezza (roncolette, coltelli da potatura). La scelta del legislatore era ragionevole perché al di sotto di un
certo livello di lesività un coltello non si distingue da un qualsiasi altro
oggetto appuntito o tagliente (chiodo, pezzo di vetro, ramo spinoso, ecc,.) e
non vi è motivo di sottoporlo ad un particolare regime giuridico. La legge 110/1975, all’art. 4, nel dettare nuove norme per il porto
degli strumenti atti ad offendere, abrogava il secondo comma dell’art. 42 del
TULPS che vietava il porto di strumenti ad offendere senza giustificato motivo.
La Cassazione, dopo qualche oscillazione, finiva per affermare che, abrogato
tale comma, doveva ritenersi abrogato anche l’art. 80 del Regolamento che ne
chiariva il contenuto. Decisione probabilmente corretta da un punto di vista
formale, ma che crea una lacuna difficilmente colmabile dall’interprete e,
quindi, una incertezza nel diritto non trascurabile. Non si può infatti dimenticare che l’art. 80 era l’espressione di
una precisa ratio: mentre per i normali strumenti da lavoro o sportivi e facile
individuare i tempi ed i modi che ne rendono giustificabile il porto, ciò non
è possibile per temperini e coltelli da tasca i quali sono strumenti destinati
a molteplici impieghi e di quotidiana utilità; un coltello da tasca di piccole
dimensioni viene portato non per uno scopo preciso, ma perché nel corso della
giornata è strumento utile in una infinità di occasioni: aprire un pacco,
tagliare uno spago o un pezzo di nastro, tagliare del pane, recidere un rametto,
pulire le unghie, per non parlare di tutti gli usi impropri in cui la lama del
coltello viene usata come leva, come cacciavite, come strumento universale per
ogni piccola riparazione. Ciò a maggior ragione per chi vive in campagna.
Quindi non vi è dubbio che in questo caso il giustificato motivo è insito
nella stessa natura dello strumento che, per la sua modestia offensiva nessuno
si sogna di portare a scopi lesivi (mass.
17-20). Ciò vale a maggior ragione per i coltelli multiuso che, oltre ad
una o due lame, dispongono di altri attrezzi (seghetto, cavatappi, lima, ecc.) i
quali, da soli, rendono giustificato il porto dello strumento. La soluzione potrebbe essere quella di ritenere che nonostante
l’abrogazione dell’art. 80 Reg. TULPS, il suo contenuto continui a
sopravvivere come regola interpretativa ragionevole per strumenti il cui porto
per giustificato motivo è implicito nella loro stessa natura. Comunque non si
potrà negare l’attenuante del fatto lieve a chi porti uno di questi oggetti. Come per ogni altro strumento atto ad offendere, il giustificato motivo
al porto in una certa situazione, legittima anche al porto in previsione di essa
e dopo che essa si è verificata: il cacciatore, ad esempio, può partire da
casa, in città con il coltello da caccia alla cintura, può portarlo sul
terreno di caccia e, fino a che, alla sera, non rientra in casa è legittimato a
portare il coltello anche se si ferma a far quattro chiacchiere al bar dei
cacciatori (mass.
19). Però nel momento in cui il cacciatore usasse il coltello per
minacciare, senza esimenti, un’altra persona, il porto diverrebbe ipso facto
privo di giustificazione e quindi punibile (tesi opinabile).
L’attenuante del fatto di lieve entità La giurisprudenza è stata a lungo tormentata dai problemi connessi
all’attenuante del fatto di lieve entità prevista nel comma quarto
dell’art. 4 L. 110/1975, ed in particolare: ·
quando si debba ritenere sussistere
l’attenuante del fatto lieve. La Cassazione ha stabilito (mass.
21, 22) che si deve tener conto sia delle circostanze oggettive (natura
dell’oggetto, modalità del fatto) sia delle circostanze soggettive
(personalità del reo, sue motivazioni). ·
- se l’attenuante possa essere ritenuta
solo in relazione ad oggetti in senso stretto (tubi, catene, bulloni, ecc.)
oppure anche in relazione a strumenti e, tra questi ai coltelli. La risposta,
fin dall’inizio, non avrebbe potuto essere che in quest’ultimo senso poiché
è proprio tra i coltelli che ora si classificano quegli strumenti che l’art.
80 del Reg. TULPS riconosceva essere privi di sufficiente capacità offensiva e
che quindi meritano l’applicazione dell’attenuante più di ogni altro
oggetto (mass.
27-28). ·
- se in caso di riconoscimento del fatto
lieve la pena sia necessariamente quella della sola ammenda oppure sia il
giudice a decidere se dare o meno anche l’arresto. Anche in questo caso la
risposta ovvia era che, a parte l’infelice espressione usata dal legislatore
(“può essere irrogata”), se il fatto era lieve, la pena dell’ammenda era
più che sufficiente (mass.
31). ·
- se il riconoscimento dell’attenuante
implichi che il reato, punito con la sola ammenda, si prescriva entro due anni.
La giurisprudenza ormai costante è in questo senso (mass.
29, 31). ·
- se il riconoscimento dell’attenuante e
quindi l’applicabilità della sola ammenda, comporti la possibilità di fare
oblazione a norma dell’art. 162 c.p. . La Cassazione si è orientata per la
soluzione negativa (mass.
25, 26). La soluzione andrebbe rivista per il fatto che il legislatore ha da
tempo superato la distinzione tra aggravanti o attenuanti generiche e quelle ad
effetto speciale (art. 63 c. p.) ed appare quindi un inutile formalismo
giuridico il cavillare se in questo caso ci si trovi di fronte ad una forma
attenuata del reato base o ad un reato autonomo. L’art. 4 L. 110/1975 punisce il porto di coltello senza giustificato
motivo con le pene dell’arresto da un mese ad un anno e dell’ammenda da lire
100.000 a lire 400.000. Se il fatto è lieve può essere irrogata la sola pena
dell’ammenda. La misura minima della pena a seguito di rito alternativo è quella di
gg. 14 di arresto e lire 45.000 di ammenda. Solo lire 45.000 di ammenda se il
fatto è lieve. La pena può essere sostituita dalle sanzioni sostitutive di cui alla
legge 689/1981. Il porto di coltello in una riunione pubblica è punito con l’arresto
da due a 18 mesi e con l’ammenda da lire 200.000 a lire 800.000; la pena è
raddoppiata se il coltello è usato al fine di commettere reati. Pena minima con
rito alternativo è quella di gg. 27 di arresto e lire 90.000 di ammenda. La Cass. (mass.
25), ha affermato che nel caso in cui il porto è punibile solo con
l’ammenda, trattandosi di fatto lieve, non è comunque consentita
l’oblazione a norma dell’art. 162 c.p. L’affermazione è molto
discutibile. 1) Cass., VI,
24/06/1970, n. 0430. Agli effetti dell’art. 80 R.D. 6 maggio 1940,
n.635, che determina gli strumenti da punta e da taglio atti ad offendere che
non possono portarsi senza giustificato motivo a norma dell’art. 42 T.U. leggi
di P.S., per lama di coltello deve intendersi non solo la parte tagliente, ma
anche la parte non tagliente di raccordo al manico. 2) Cass., III, 26/06/1967, n. 0658. Agli
effetti della legge penale (art. 582, secondo comma, n 2 C.P.) sono considerate
armi tutti gli strumenti atti ad offendere che non possono portarsi senza
giustificato motivo, e quindi anche quelli destinati ad uso domestico, i quali
soltanto agli effetti del T.U. delle leggi di P.S. non sono considerati armi. Il
coltello da cucina, anche se la sua destinazione principale non è quella di
arrecare offesa, è sicuramente uno strumento atto ad offendere e perché possa
essere qualificato arma è necessario considerare, ai sensi dell’art 80 reg.
T.U. citato, non solo la lunghezza della lama, ma anche quella del manico. Massima superata per effetto
dell’art. 4 L. 110/1975 3) Cass., V,
20/05/1982, n. 5112. Il coltello chirurgico (bisturi) deve considerarsi arma
impropria trattandosi di strumento che, per la funzione cui è destinato e per
la struttura della lama, ha caratteristiche tali che lo rendono chiaramente
utilizzabile per l’offesa alla persona. 4) Cass., I,
19/10/1985, n. 9300. Il “coltello da lancio” normalmente destinato ad
uso sportivo (per il tiro al bersaglio), quale strumento da punta e taglio atto,
sia occasionalmente, ad offendere, è qualificabile come arma impropria ai fini
di cui all’art. 4 comma secondo seconda parte della legge 18 aprile 1975 n.
110. 5) Cass. I, 14/07/93,
n. 7011. Il coltello a serramanico può essere inteso anche in senso più
lato, onnicomprensivo pure di quello a scatto, caratterizzato dalla
incorporazione della lama all’interno del manico; sicché, ove manchi la
speciale strutturazione dello scatto e del fissaggio della lama, il coltello la
cui lama è semplicemente ripieghevole nel manico, ancorché chiamato a
serramanico, non è esclusivamente destinato all’offesa alla persona, potendo
normalmente essere impiegato negli usi più svariati, come quelli domestici,
agricoli, sportivi, anche se, occasionalmente, può essere adoperato come arma,
in tal senso impropria. Massima sconclusionata in cui si cerca
di rimediare all’errore linguistico della Cassazione che per anni ha chiamato
i coltelli a scatto “coltelli a serramanico”. Un coltello a serramanico è
un coltello pieghevole e dal suo nome (o meglio dal nome a lui attribuito in un
verbale di denunzia) non è dato ricavare alcuna conseguenza giuridica, il che
è ovvio. 6) Cass., VI, 28/05/1969, n. Il
coltello a ‘molletta’ (cioè a scatto) ha le caratteristiche tipiche di un
pugnale e, pertanto, deve essere considerato arma ai fini dell’art. 699 C.P. 7) Cass., VI, 15/04/1975, n. 4143.
E’ punibile ai sensi dell’art. 699 C.P. il porto del tipo ‘molletta’,
poiché esso assume le caratteristiche di un pugnale o di uno stiletto. Invero,
agli effetti dell’art. 39 del T.U. legge di P.S., sono considerate armi
proprie, oltre tutte le armi da sparo, tutte le altre la cui destinazione è
l’offesa alla persona e l’art. 45 del regolamento comprende espressamente
fra gli strumenti da punta e taglio la cui destinazione naturale è l’offesa
alla persona i pugnali e gli stiletti, per i quali non è ammessa licenza. Cass., I, 16/02/1979, nr. 1757, La
cosiddetta ‘molletta’, cioè il coltello con apertura a scatto e la cui
lama, una volta spiegata, rimane fissa, assumendo in tal modo le caratteristiche
di un pugnale o stiletto ‑ rientra nella categoria delle armi non da sparo
per le quali non è consentito il porto in senso assoluto. Massima con motivazione errata in
quanto a nulla rileva che un coltello sia a lama fissa o pieghevole; che rileva
è il tipo di lama. 8) Cass., I, 29/10/1981, n. 9526.
Il coltello a ‘scrocco’, e cioè il coltello a serramanico con lama a
scatto, definito anche ‘molletta’ o a molla, deve considerarsi, agli effetti
della legge penale, secondo la definizione della legge n. 585, secondo comma
prima ipotesi C.P., ‘arma la cui destinazione naturale è l’offesa alla
persona’, in quanto, secondo i dati dell’esperienza tratti dal contesto
storico ‑ geografico in cui si vive, appare destinato a tale uso e cioè
ad aggredire ed offendere proprio per la fulmineità con la quale può farsene
scattare la lama. Massima errata in quanto la rapidità
di apertura non alcun rilievo; un coltello a lama fissa si può utilizzare
ancora più rapidamente, ma non è un’arma! 9) Cass., II, 31/10/1981, n. 9691. Il
coltello a scatto, detto anche molletta, costituisce arma propria che deve
essere denunciata all’autorità di P.S.. L’omissione della denuncia integra
gli estremi del reato di cui all’art. 697 C.P. 10) Cass., I, 09/03/1981, n. 1967.
Il porto abusivo delle armi bianche proprie ‑ ossia di quelle a punta e
taglio la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona ‑ è punito
ai sensi dell’art. 699 del C.P., mentre il porto ingiustificato, fuori dalla
propria abitazione e delle appartenenze di esse, delle armi bianche improprie
‑ ossia di quelle la cui predetta destinazione sia secondaria od
occasionale ‑ e’ punito ai sensi dell’art. 4, commi secondo e terzo,
dalla legge n. 110 del 1975. (Nella specie si trattava di un coltello a punta
acuminata lungo complessivamente venti centimetri a destinazione sportiva e
portato senza giustificato motivo. Giurisprudenza consolidata. 11) Cass., V,
20/03/1981, n. 2417. L’art. 4 della legge 18 aprile 1975 n. 110 stabilisce,
abrogando il disposto dell’art. 42 della legge di P.S., che senza giustificato
motivo non possano portarsi fuori della propria abitazione e della appartenenza
di essa, fra l’altro, anche ‘strumenti da punta e da taglio atti ad
offendere’. Non è perciò più necessario che un coltello per essere
considerato arma presenti determinate dimensioni, così come era richiesto dalla
precedente normativa. Trattandosi di uno strumento da punta o da taglio deve
essere considerato alla luce della nuova legge arma impropria, poiché è
oggetto che, pur non avendo come destinazione naturale l’offesa, è pur sempre
idoneo a ledere e ad attentare all’incolumità personale. 12) Cass., I, 17/03/1983, n. 2117.
La liceità del porto di coltello è condizionata alla lunghezza della lama che
non superi i sei centimetri ed è per questo necessario che il manico non ecceda
in lunghezza cm. 8 e in spessore cm. 9 per una sola lama e millimetri tre in più
per ogni lama affiancata. Ne consegue che, venendo meno anche una sola di queste
tre condizioni il porto rimane illecito se non è giustificato il motivo. 13) Cass., I, 22/03/1986, n. 2356. Poiché
l’art. 4 della legge 18 aprile n. 110, abrogando il disposto dell’art. 42
della legge di P.S., stabilisce che senza giustificato motivo non possono
portarsi fuori della propria abitazione o dalle appartenenze di essa, tra i vari
oggetti elencati anche “strumenti da punta o da taglio atti ad offendere”,
non è più necessario che il coltello per essere considerato arma presenti
determinate dimensioni, cosi’ come era richiesto nella precedente normativa. 14) Cass., II, 26/09/1984, n. 752.
Il coltello, in quanto strumento da punta o taglio atto ad offendere, deve
essere considerato arma impropria ai sensi della legge 18 aprile 1975 n. 110.
Non è più necessario perché sia ritenuto arma che esso presenti determinate
dimensioni, come richiesto dalla precedente normativa. 15) Cass., I, 14/11/1984, n. 9971. Il
porto abusivo delle armi proprie, cosiddette bianche, quale è il pugnale a
scatto, integra il reato previsto dall’art. 699, secondo comma C.P., cosi’
come modificato dall’art. 14 della legge n. 497 del 1974, mentre il porto,
senza giustificato motivo, delle armi improprie integra il reato previsto
dall’art. 4 secondo comma, della legge n. 110 del 1975. Infatti, con la norma
di cui all’art. 4 della legge n. 110 non si è verificata alcuna
equiparazione, sotto il profilo sanzionatorio, della disciplina delle armi
proprie, a quella delle armi improprie, anche perché in essa normativa non si
rinviene alcuna abrogazione dell’art. 699 C.P., e vengono fatte salve
esplicitamente le disposizioni della legge del 1974 che, all’art. 14, secondo
comma, stabilisce un più severo regime sanzionatorio per le contravvenzioni
previste nel C.P. e concernenti le armi, a meno che il fatto non integri le
ipotesi previste nell’art. 4, quarto e quinto comma, legge n. 110 del 1975
(porto di armi in pubbliche riunioni). Giurisprudenza consolidata. 16) Cass., I, 16/01/1986, n. 0442.
In tema di armi, la applicazione dell’attenuante della lieve entità va
operata senza distinguere tra gli oggetti atti ad offendere. Infatti, il
riferimento ad essi, contenuto nell’ultima parte del terzo comma dell’art. 4
della legge 18 aprile 1975 n. 110, non ha né significato né valore limitativi,
ma rilevanza generica e si riferisce a tutte le cose ‑ in esse compresi
gli strumenti da punta e taglio ‑ indicate nel precedente comma secondo le
costituenti armi improprie, come un coltello per la pesca subacquea, del quale
è vietato il porto senza giustificato motivo. 17)
Cass., I, 18/01/96, n. 580. Il reato di cui all’art. 4 legge 18 aprile 1975 n.
110 sussiste soltanto allorché sia, tra l’altro, provato che l’agente ha
portato "senza giustificato motivo" fuori della propria abitazione
qualcuno degli oggetti elencati nel detto articolo. E deve intendersi per motivo
giustificativo del porto quello determinato da particolari esigenze
dell’agente perfettamente corrispondenti a regole comportamentali lecite
relazionate alla natura dell’oggetto, alle modalità di verificazione del
fatto, alle condizioni soggettive del portatore, ai luoghi dell’accadimento,
alla normale funzione dello oggetto. Ne consegue che il porto di coltello da
caccia e di coltello con cavaturaccioli da parte di chi si reca per diporto in
zona boschiva è pienamente giustificato atteso che detti oggetti sono tra
quelli che normalmente un soggetto porta con sé, allorquando si reca in gita in
zona boschiva di montagna ove gli stessi possono essere utilmente usati. 18) Cass., VI, 22/12/1989, n. 17777. Il porto di coltello è sempre
proibito, a norma dell’art. 4 legge 18 aprile 1975 n. 110, a meno che non
venga dimostrato il giustificato motivo, che, costituendo una eccezione alla
configurabilità del reato, deve sottostare all’onere della prova incombente
sull’imputato. Massima non condivisibile perché
nella maggior parte dei casi comporterebbe una probatio diabolica. Sono le
circostanze di fatto che debbono rendere credibile o verosimile la dichiarazione
dell’imputato circa il motivo per cui porta lo strumento atto ad offendere e
di più non si può richiedere. Se l’imputato, ad esempio, viene fermato con
un coltello nell’abitato e afferma che sta recandosi in campagna, quale prova
può mai fornire delle sue intenzioni? Se egli è vestito da campagna ed è
giorno, sarà credibile; se ha un vestito da ballo ed è notte, non sarà
credibile, ma di più non può umanamente pretendersi. 19) Cass., I, 15/01/1987, n. 0254. Il
porto di un coltello a serramanico è da ritenersi legittimo se detto oggetto
deve essere impiegato nell’uso suo proprio e rimane tale per tutto il tempo di
durata della attività e, quindi, all’assenza della abitazione. Ne consegue
che non risponde di reato di cui all’art. 4 legge n. 110 del 1975 colui il
quale, avendo portato con sé un coltello per adempiere al suo lavoro nei
boschi, successivamente, e prima del rientro a casa, si ubriachi e lo esibisca
in pubblico perché il fatto non costituisce reato. Massima importante che chiarisce il
concetto di giustificato motivo. 20) Cass., I, 19/12/1985, n. 12244. In
tema di porto di armi improprie, il fine di suicidio non esclude l’ipotesi
contravvenzionale di cui all’art. 4 legge 18 aprile 1975 n. 110, dovendosi
identificare il motivo giustificativo del porto di tali armi soltanto nello
scopo determinato da particolari esigenze del portatore perfettamente
corrispondenti a regole comportamentali lecite e correntemente seguite ed
accettate (fattispecie relativa a porto ingiustificato di coltello da cucina). Massima errata e che fa ricordare
Fantozzi quando dice “ma come è umano lei!”. Non esistono infatti motivi
buoni e cattivi che il giudice debba valutare sotto un profilo morale, ma solo
motivi illeciti e motivi leciti; chi porta un coltello per suicidarsi prova in
modo indiscutibile che egli non intende usare l’arma per motivi illeciti
(aggressione, danneggiamento, bracconaggio) e quindi il motivo è senza dubbio
giustificato. E’ preoccupante vedere come in tre
gradi di giudizio nessun giudice si sia posto il problema se un povero diavolo
in stato depressivo, sia da ritenere capace di intendere che egli sta portando
un coltello da cucina senza un buon motivo! 21) Cass., I,
22/02/1989, n. 2875. Ai fini della
configurabilità del caso di lieve entità previsto dal comma terzo dell’art.
4 legge 18 aprile 1975 n. 110, deve tenersi conto non solo delle dimensioni
dello strumento atto ad offendere ma anche di tutte le modalità del fatto e
della personalità del reo, che possono dare un particolare significato al fatto
obiettivo del porto ingiustificato. Trattasi di giudizio rientrante
nell’esclusiva competenza del giudice di merito, sottratto al sindacato di
legittimità qualora sia sorretto da adeguata e logica motivazione. 22)
Cass. I, 24/12/96 n.11156. In materia di reati concernenti le armi, ai fini
della configurabilità del caso di lieve entità previsto dal comma terzo
dell’art. 4 della legge 18 aprile 1975 n. 110, deve tenersi conto non solo
delle dimensioni dello strumento atto ad offendere, ma anche di tutte le modalità
del fatto e della personalità del reo, che possono dare un particolare
significato al fatto obiettivo del porto ingiustificato. 23) Cass., 1, 17/02/96, n.1901. In tema di reati concernenti le
armi bianche, l’art. 699 cod. pen. si applica alle armi bianche proprie,
mentre l’art. 4 legge 18 aprile 1975 n. 110 si applica agli oggetti atti ad
offendere il cui porto non sia giustificato. Rientra nella categoria delle armi
proprie non da sparo ‑ con conseguente applicabilità dell’art. 699 cod.
pen. ‑ un coltello che, pur essendo semplicemente a serramanico senza
essere munito di un congegno di scatto, sia dotato di lama fissa e rimovibile
solo mediante l’azionamento di apposito meccanismo, in tal modo assumendo la
caratteristica propria di un pugnale o stiletto. 24) Cass. I, 25/05/96, n.5213. In materia di armi da punta e
taglio, per quanto riguarda in particolare i coltelli, va operata una
distinzione tra quelli muniti di lama non fissa, semplicemente azionabili a mano
e privi di congegni meccanici che permettano l’irrigidimento della lama aperta
sino a contrario comando manuale, e quelli, invece, che dispongono di congegni
di quest’ultimo tipo, in grado di consentirne la fruibilità quali pugnali,
stiletti e simili. Nella prima categoria rientrano gli arnesi da punta e taglio,
il cui porto senza giustificato motivo è punito ai sensi dell’art. 4 legge 18
aprile 1975 n. 110; nella seconda le armi proprie non da sparo il cui possesso
è sanzionato dagli artt. 697 e 699 cod. pen., a seconda che si tratti di
detenzione illegale o di porto abusivo. Questa massima e quella che precede sono sicuramente erronee perché
hanno scambiato una misura di sicurezza, universalmente usata nei coltelli, per
un mezzo rivolto ad aumentarne la pericolosità. Che un coltello, una volta
aperto, diventi a lama fissa è assolutamente irrilevante per il fatto che la
legge considera comunque strumenti e non armi tutti i coltelli a lama fissa. 25)
Sez. 1, 25/05/96, n. 5214. In
materia di reati concernenti le armi, la contestazione della contravvenzione di
porto fuori della propria abitazione, senza giustificato motivo, di un coltello
atto ad offendere ‑ di cui all’art. 4, secondo e terzo comma, della
legge 18 aprile 1975 n. 110 ‑ non consente la procedura dell’oblazione,
trattandosi di reato punito congiuntamente con pena detentiva dell’arresto e
pecuniaria dell’ammenda nell’ipotesi tipica (o di base); a nulla rileva, al
riguardo, l’eventuale richiamo nello stesso capo d’imputazione della
circostanza della lieve entità ai sensi dell’art. 5 della legge 2 ottobre
1967 n. 895, cui ‑ trattandosi di elemento non integrante il nucleo
costitutivo della contravvenzione ‑ non può annettersi rilevanza alcuna
ai fini dell’accessibilità all’oblazione prevista dall’art. 162 cod. pen.
che si riferisce direttamente alle contravvenzioni per le quali la legge, e non
la valutazione del giudice, stabilisca la sola pena dell’ammenda, con evidente
riferimento alla figura normativa tipica. Massima errata perché ritiene applicabile alle armi non da sparo
l’attenuante di cui all’art. 5 L. 895/1967! Ricalca comunque la successiva. 26)
Cass., I, 19/09/96 n. 8530. Nella contravvenzione prevista dall’art. 4, commi
secondo e terzo, della legge 18 aprile 1975 n. 110, l’ipotesi di lieve entità
- sanzionata con la sola pena pecuniaria - costituisce circostanza attenuante
del reato-base, punito con pena congiunta, e non figura autonoma di reato. Ne
consegue che è inammissibile l’oblazione per la pena solo pecuniaria
applicabile dal giudice in concreto per i casi ritenuti di lieve entità. 27)
Cass., I, 06/03/97 n. 510. In materia di legislazione sulle armi,
l’attenuante della lieve entità, prevista dall’art. 4, comma terzo, della
legge 18 aprile 1975 n. 110, può trovare applicazione con riguardo a tutti gli
oggetti atti ad offendere indicati nel precedente comma secondo, ivi compresi
gli strumenti da punta e da taglio in quanto non costituenti arma propria (nella
specie trattavasi di coltello a serramanico non a scatto). La questione di che cosa si intenda per “oggetti” al fine
dell’attenuante del fatto di lieve entità, ha sollevato un feroce, e poco
edificante, contrasto all’interno della stessa prima sezione della Cassazione
con decine di sentenze contrastanti. Attualmente appare prevalente la tesi sopra
esposta secondo cui per oggetto si deve intendere ogni strumento atto ad
offendere, anche se da punta o da taglio, ragione per cui l’applicazione
dell’attenuante rimane esclusa solo per le armi proprie. Questa appare la
soluzione più ragionevole per il fatto che il titolo dell’articolo 4
contrappone le armi ai soli oggetti e non anche agli strumenti e per il fatto
che il secondo comma dell’art. 4 accomuna in un unico regime cose, oggetti,
strumenti contundenti o da punta o da taglio, senza che sia possibile operare
alcuna ragionevole distinzione. 28)
Cass., I, 21/02/97, n. 1664. In tema di armi, l’applicazione dell’attenuante
della lieve entità va operata senza distinguere tra gli oggetti atti ad
offendere: infatti il riferimento ad essi, contenuto nell’ultima parte del
terzo comma dell’art. 4 della legge 18 aprile 1975 n. 110, non ha né
significato né valore limitativo, ma rilevanza generica e si riferisce a tutte
le cose - in esse compresi gli strumenti da punta e taglio - indicate nel
precedente comma secondo e costituenti armi improprie, come un coltello per la
pesca subacquea, del quale è vietato il porto senza giustificato motivo. 29)
Cass., I, 26/04/97 n. 2336. Il reato previsto dall’art. 4 della legge
n. 110 del 1975, qualora sia stata concessa l’attenuante del fatto di lieve
entità, è punito con la sola pena dell’ammenda, e pertanto si prescrive in
due anni - prolungabili della metà nell’ipotesi di cui all’art. 160 cod.
pen. - a nulla rilevando che nell’ipotesi tipica sia punito con la pena
congiunta dell’arresto e dell’ammenda. Giurisprudenza che dopo qualche contrasto appare ormai prevalente. 30)
Cass., I, 03/02/97 n. 750. Il reato di porto di oggetto atto ad offendere,
previsto dall’art. 4 della legge n. 110 del 1975, qualora sia stata ritenuta
dal giudice l’ipotesi di lieve entità con la conseguente irrogazione della
sola pena pecuniaria, si prescrive in due anni. (Contra Cass., I, 9 gennaio
1997). Anche
in questo caso permane un fiero contrasto all’interno della stessa prima
sezione. 31)
Cass., I, 17/12/96 n. 1332. Il riconoscimento della lieve entità del fatto, nel
caso di porto ingiustificato di oggetti atti ad offendere, ai sensi dell’art.
4, comma terzo, ultima parte, della legge 18 aprile 1975 n. 110, comporta
necessariamente l’applicazione della sola pena dell’ammenda, non rilevando
in contrario che nella formulazione della norma in questione sia stata adoperata
l’espressione "può"; e ciò in quanto, diversamente opinando,
sfuggirebbe la stessa ragion d’essere dell’attenuante in parola, da
ritenersi prevista dal legislatore proprio per i casi in cui l’applicazione
congiunta dell’arresto e dell’ammenda, pur nella misura minima possibile,
sarebbe risultata sproporzionata per eccesso rispetto alla infima gravita’ del
fatto. Ne consegue che, verificandosi l’ipotesi sopraindicata, il termine
prescrizionale del reato, ai sensi dell’art. 157, comma primo, n. 6, e comma
secondo, cod. pen., viene ad essere quello di due anni previsto per le
contravvenzioni punibili con la sola ammenda. Giurisprudenza
praticamente costante. I coltelli (tutti, di qualsiasi misura)
possono essere portati per "giustificato motivo". Il cacciatore è, per legge, in situazione
di giustificato motivo dal momento in cui parte da casa a quando vi ritorna. Però
non può salire in corriere o in treno con un fiero coltello alla cintura!
Meglio se lo tiene nel sacco da montagna o nascosto. In tutti gli altri casi bisogna trovarsi in
una situazione in cui sia dimostrabile che si è portato o si sta portando il
coltello per uno scopo preciso: cercatore di funghi per tagliare i funghi,
escursionista o campeggiatore per le necessità di campagna, artigiano per
lavori attinenti al suo mestiere, ecc. Non è considerato valido il motivo
generico: “perché lo uso per fare la punta alla matita e per pulirmi le
unghie!” Non è valido il motivo di difesa perché
la legge vuole proprio evitare che si porti il coltello per bucare la pelle
altrui. Si può sempre trasportare il coltello
impacchettato (anche se si può ferire una persona senza aprire il pacchetto!). Chi porta il coltello è meglio quindi che
abbia una scusa sempre bell'e pronta del tipo: vado nel giardino del mio amico a
tagliare un ramo!
Il testo ci è stato gentilmente fornito dal Giurista Dott. Edoardo Mori visitate il suo sito a http://www.earmi.it
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